venerdì 22 aprile 2011

I bio-carburanti contribuiscono al riscaldamento globale








Con la scusa della produzione di biocarburanti è aumentata la distruzione di spazi verdi da destinare a coltura per la produzione di mais ed etanolo. La spinta inflattiva sul prezzo del grano ha prodotto effetti su tutta la filiera alimentare mondiale (con i dovuti problemi di redistribuzione a danno dei paesi più poveri) ed anche per questo è stata anche richiesta lamoratoria in sede Onu.
Due analisi indipendenti pubblicate sulla rivista Science, dimostrano che il contributo dei biocarburanti al surriscaldamento globale è notevole: finché la tecnologia non sarà in grado di permettere l’uso senza emissioni di gas serra, gli effetti di questi combustibili possono esser paragonati a quelli da inquinamento per combustibili fossili. E pensare che molti politici hanno fatto dell’implementazione dei biocombustibili il loro cavallo di battaglia elettorale sia in Europa che negli Usa.
I ricercatori della Princetown University e dell’università dell’Iowa, con l’aiuto di un consulente agricolo, hanno dimostrato che in 30 anni, l’uso del mais tradizionale a base di etanolo, potrebbe produrre più del doppio delle emissioni di gas nocivi rispetto al previsto, inquinando come la benzina. L’altra analisi invece, a cura dell’Università del Minnesota, dimostra che la deforestazione di zone pluviali, torbiere, praterie e ampie zone della savana per far spazio alle colture (soprattutto nell’area Sud-Est Asiatica e dell’America Latina) sarà la causa del surriscaldamento globale dei prossimi decenni.
La prima a pagare il costo per la produzione di biocarburanti è proprio la terra: anche se riuscissimo a convertire tutto il settore dei trasporti da benzina a biocombustibile ed applicare tecnologie che consentirebbero l’emissione di gas non nocivi all’effetto serra, ci vorranno almeno 160 anni prima di avere effetti positivi sui cambiamenti climatici. Se si implementeranno le tecnologie di “seconda generazione del biocombustibile” la condanna dell’etanolo forse potrà esser evitata.


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domenica 17 aprile 2011

Biodiversità: assicurazione sulla vita del nostro pianeta

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La terra è popolata da numerosi esseri viventi, animali e vegetali che non conosciamo: oggi sono state classificate appena un milione di specie, mentre le stime elaborate dai biologi vanno dai 5 ai 10 milioni. Diventa quindi, ancora più urgente e importante occuparsi della conservazione di specie e ambienti che rischiano di sparire per sempre a causa dell’uomo, ancora prima di essere scoperti. Infatti la biodiversità nel mondo è calata quasi di un terzo negli ultimi 35 anni, principalmente a causa della progressiva distruzione di ambienti vivibili dalle varie specie animali. Lo sostiene ilWorld Wildlife Fund, presentando i dati del suo Living Planet Index, l’indice globale della biodiversità istituito dall’associazione, che ne diffonde i dati aggiornati ogni due anni.

Come spiega il direttore generale del Wwf
La riduzione della biodiversità significa, per milioni di persone, il rischio di un futuro nel quale le disponibilità alimentari sono più vulnerabili rispetto a epidemie e malattie, e che anche le provviste d’acqua sono più a rischio. Nessuno può sfuggire all’impatto catastrofico di una minore biodiversità, perché questa comporta minore disponibilità di medicinali, maggior vulnerabilità rispetto ai disastri nucleari e agli effetti del riscaldamento globale.
Ricordiamo che la biodiversità è l’assicurazione sulla vita del nostro pianeta. Quindi la conservazione di essa deve essere perseguita senza limiti poichè essa costituisce un patrimonio universale, che può offrire vantaggi immediati per l’uomo: innanzitutto mantenimento degli equilibri climatici sia a scala locale che planetaria; infatti le specie vegetali oltre ad essere l’unica fonte di ossigeno sul nostro Pianeta, hanno anche un ruolo fondamentale negli equilibri idrici e in quelli gassosi. Inoltre la biodiversità è una fonte di materiale di studio: lo studio della biodiversità permette di avere fondamentali conoscenze anche per comprendere meccanismi biologici analoghi nell’uomo.


sabato 2 aprile 2011

Anche in città il riscaldamento diventa “bio”

BASTIA UMBRA (al.ga.) – Questa mattina, alle ore 11 presso la sala del consiglio comunale del municipio di Bastia Umbra, si terrà la conferenza stampa per illustrare il progetto “1.000 tetti fotovoltaici”, promosso dalla società SiEnergia in collaborazione con l’amministrazione comunale di Bastia Umbra. Per questo motivo, all’incontro prenderanno parte Marcello Mantovani, assessore ai lavori pubblici di Bastia Umbra, Franca Caramello, responsabile Gsa, e Stefano Feligioni, presidente SiEnergia. “Il progetto prevede predisposizione e pubblicazione di un bando atto a erogare un contributo in conto capitale finalizzato alla realizzazione di sistemi fotovoltaici di potenza elettrica 3 kWp – si fa sapere dalla Gesenu – ciascuno collegato alla rete del distributore locale di energia elettrica, sfruttando la possibilità per i cittadini della possibilità di usufruire di incentivi sull’energia elettrica prodotta”.




Fonte

mercoledì 23 marzo 2011

Energia dai pomodori, Maccastorna lancia il progetto di bio-riscaldamento

Sfruttando gli scarti derivati dalla lavorazione annua di 200mila tonnellate di pomodori il piccolo paese in provincia di Lodi vuole sperimentare un impianto di riscaldamento in grado di servire tutti gli edifici
(Rinnovabili.it) – Facendo un po’ di attenzione e utilizzando l’ingegno Maccastorna, piccolo paese in provincia di Lodi, ha deciso di realizzare un impianto di riscaldamento da alimentare sfruttando gli scarti della lavorazione dei pomodori prodotti da un’industria locale. Il paese in questo modo potrà trarre un grande giovamento poiché riuscirà ad eliminare un gran quantitativo di rifiuti impiegandoli per riscaldare gli edifici senza produrre inquinanti dannosi per l’atmosfera.
Grazie all’esperimento, al quale si stanno prestando tutti e 67 gli abitanti, si potranno studiare gli effetti e le potenzialità di un impianto di riscaldamento che andrà a smaltire i rifiuti prodotti dalla lavorazione annua di circa 200mila tonnellate di pomodori insieme anche alle deiezioni animali accumulate all’interno dell’industria agricola e al trinciato di mais che andranno a riscaldare tutti gli edifici del paese, dalle abitazioni alla chiesa.
Una collaborazione quella tra agricoltura, municipalità e industria alimentare, che darà un aiuto per la generazione di energia pulita e che dovrebbe divenire operativa dal 2012 presso le strutture dell’azienda agricola Biancardi con la successiva realizzazione di una rete di distribuzione e collegamento capillare.
Il progetto, con la speranza di eliminare dalle case dei residenti e da tutti gli altri edifici le caldaie a gas per il riscaldamento domestico, punta anche e soprattutto alla riduzione degli inquinanti e al calo dell’importo in bolletta; sicuramente innovativo quanto ambizioso, sarà presentato a Cremona in occasione di BioEnergy Italy, in programma dal 18 al 20 marzo 2011 con l’obiettivo di riuscire a dimostrare che ci circondano innumerevoli fonti energetiche attualmente non sfruttate ma che se adeguatamente osservate potrebbero offrire numerosi vantaggi energetici.

giovedì 10 febbraio 2011

Riscaldamento degli edifici e inquinamento atmosferico


Migliorando la protezione termica degli edifici, è possibile ridurre l'emissione di polveri fini e, di conseguenza, l'inquinamento atmosferico. Un condominio di 9 piani e 36 appartamenti, isolato con lana di vetro, in una stagione invernale permette un risparmio del 31% in termini di produzione di anidride carbonica, rispetto allo stesso condominio non isolato.
Le città italiane stanno affrontando, in questi giorni, l'emergenza smog, sia per i drammatici riflessi sulla salute dell'uomo, sia per quelli ancor più gravi legati alle alterazioni del clima dovuti al cosiddetto effetto serra. Biossido di azoto, anidride solforosa e idrocarburi policiclici aromatici (IPA) vengono combattuti con limitazioni verso i veicoli non catalitici, targhe alterne e fasce orarie, chiusura dei centri storici, blocchi preventivi del traffico fino al più temuto blocco totale della circolazione.
A Milano, una delle città più inquinate d'Europa, è stato deciso per alcune domeniche il blocco totale della circolazione. Anche a Torino, dove i livelli di Pm10 e di anidride solforosa sono notevolmente elevati, sono già state adottate alcune misure precauzionali.
Perché a Milano nei mesi estivi - cioè a impianti spenti - i valori del Pm10 vanno dai 20 ai 40 microgrammi al m³, mentre invece in novembre, dicembre e gennaio - e quindi a impianti accesi - raggiungono i 50/80 microgrammi al m³, superando la soglia di attenzione?
Perché, allora, durante le domeniche a piedi quando le persone, restando in casa, utilizzano maggiormente il riscaldamento il tasso di Pm 10 - le cosiddette micropolveri di dimensioni inferiori a 10 micron - aumenta anziché diminuire?
La risposta sta nel fatto che, oltre ai gas di scarico delle automobili, anche il riscaldamento degli edifici è in larga misura responsabile dell'emissione di polveri fini, come hanno recentemente sottolineato alcuni sindaci. E questo accade perché la maggior parte degli edifici in Italia non sono isolati o lo sono in modo insufficiente e pertanto richiedono elevate quantità di combustibile per far fronte alle notevoli dispersioni termiche durante il riscaldamento invernale.
Gli esperti, infatti, calcolano che il 75% dell'energia consumata per il riscaldamento domestico viene inutilmente sprecata e che in realtà solo il 25% potrebbe essere richiesto per mantenere un buon comfort, all'interno delle abitazioni.
"Se da un lato l'energia è fondamentale per il progresso umano" - dichiara il Prof. Gaetano Cecchetti Ordinario in Chimica dell'ambiente e dei beni culturali presso la Facoltà di Scienze Ambientali dell'Università degli Studi di Urbino - "dall'altro il suo utilizzo è causa di inquinamento locale e globale e il suo prezzo solo raramente tiene conto dei costi ambientali derivanti dal suo uso. Piogge acide, aumento delle inondazioni, accelerazione delle deforestazioni, alterazioni del clima su scala planetaria e aumento della temperatura media globale del pianeta, sono solo alcuni dei disastrosi effetti ambientali che derivano dall'uso inadeguato di grandi quantità di energia".
"Ridurre i consumi energetici e in particolare quelli imputabili al riscaldamento degli edifici" - continua il Prof. Cecchetti - "è un dovere nei confronti dell'ambiente. E la coibentazione degli edifici è indispensabile per garantire il livello di qualità della vita che gli standard attuali richiedono".
"Nel nostro paese" - conclude Cecchetti - "la diffusione di materiali coibentanti è piuttosto contenuta. Eppure è dimostrato che un buon isolamento termico permette una riduzione dei consumi energetici fino al 75%, con conseguente diminuzione di emissioni di CO2 e di polveri sottili". Tra i materiali coibentanti, una particolare menzione, per le sue prestazioni, merita la lana di vetro.
La lana di vetro è un isolante ecologico e naturale e, nonostante sia tra i più utilizzati nel mondo, è poco conosciuto e quindi scarsamente utilizzato nel nostro Paese. L'Italia, infatti, è al penultimo posto in Europa per l'utilizzo di lane minerali con una quota di mercato del 20% contro il 91% della Danimarca, l'82% della Norvegia e l'81% della Svezia (vedi Tabella a pag. 3). E anche lo spessore medio isolante venduto ci vede molto indietro in Europa: in Francia è cm 12 mentre l'Italia con cm 3,3 si trova al terz'ultimo posto seguita da Grecia e Turchia.
Questa situazione trova immediato riscontro sui consumi energetici degli edifici, che incidono di circa il 33% sui consumi totali e del 40-50% sulla produzione di CO2, principale responsabile dell'effetto serra. In Italia, infatti, il consumo medio annuo di un edificio per m³ è di 28 Kwh contro i 19 Kwh della Francia.
"Per dare l'idea del risparmio energetico fornito dalla lana di vetro" - dichiara Lionello Augelli, esperto di isolamento termico e acustico - "facciamo degli esempi concreti. Una villetta non isolata a Milano consuma, in una sola stagione invernale con il suo impianto di riscaldamento, 4000 litri di gasolio e produce 11 tonnellate di anidride carbonica. Invece, la stessa villetta adeguatamente isolata in lana di vetro consuma, nello stesso periodo, soli 1800 litri di gasolio e produce circa 5 tonnellate di anidride carbonica, e cioè meno della metà rispetto a quella non isolata".
"Nel caso invece" - conclude Augelli - "di un condominio di 9 piani e 36 appartamenti, il consumo annuo di gasolio si riduce, con l'isolamento, da 40.000 litri di gasolio a circa 23.000, il che significa una notevole riduzione dell'anidride carbonica, immessa nella super inquinata atmosfera milanese, da 110 a soltanto 64 tonnellate".
Ridurre i consumi energetici non è soltanto una necessità di tipo economico, dovuta al costante aumento dei costi di tutti i tipi di combustibili, ma soprattutto di un dovere nei confronti dell'ambiente in cui va ridotto con ogni mezzo l'inquinamento atmosferico e l'utilizzo di riserve che non sono inesauribili. Questo principio è stato pienamente condiviso negli accordi presi durante la conferenza internazionale di Kyoto del 1997.
Anche il nostro governo ne è consapevole dal momento che la legge 10/91 - che stabilisce le norme in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia - sottolinea che i materiali isolanti sono fonti di energia rinnovabili, assimilate al sole e al vento.
La lana di vetro, isolante naturale ed ecologico e prima scelta in fatto di isolamento in molti paesi del mondo, è prodotta per oltre il 60% da materiali di riciclo (bottiglie di vetro) e ha tra i suoi principali componenti la silice, ovvero la comunissima sabbia.


martedì 25 gennaio 2011

Biomassa: Teleriscaldamento di Tirano

Biomassa: Teleriscaldamento di Tirano: "Il calore generato dalla combustione delle biomasse può essere utilizzato anche per fornire una sorta di 'teleriscaldamento'. E' quanto avv..."

lunedì 17 gennaio 2011

Ciclo del carbonio

Quanto carbonio si trova in atmosfera sotto forma di CO2? Quanto se ne è aggiunto negli ultimi 250 anni? E nel mare? Sembrano domande difficili e lo sono certamente, ma può risultare una scoperta capire che grazie a semplici modellazioni e a semplici calcoli, che usano niente più che la geometria e la chimica del liceo, è possibile dare una risposta, sia pure approssimata.

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Vediamo come si può fare qualche semplice conto .
Anzitutto quanto pesa l’atmosfera terrestre? Noi sappiamo che esercita al livello del mare una pressione di 1 atmosfera per cm2, ossia l’equivalente di circa 1kg/cm2 o di 10 ton/m2; su questa base possiamo facilmente calcolarlo. La pressione che esercita dipende appunto dal suo peso e se calcoliamo la superficie terrestre totale e la moltiplichiamo per questo peso unitario abbiamo una prima risposta.
Raggio terrestre=6.371 km
Area in km2, considerando la Terra come una sfera = 4pr2 = 4 x 3,14 x 6.3712 = 510 milioni di km2 circa.
Dato che un km2 è un milione di m2 abbiamo quindi 5,1 x 1014 m2. Su questa superficie si esercita una forza di 5,1 x 1015 ton che è il peso dell’atmosfera: 5,1 milioni di miliardi di ton o 5,1 peta-tonnellate.
Come sappiamo dalle misure di Mauna Loa, la CO2 rappresenta 390 ppm in volume (dicembre 2010); e questa, per la legge dei gas, è anche la percentuale sulla pressione, ma in peso?
Consideriamo che il peso molecolare medio dell’aria è di 28,97, ossia 28,97 g/mole; la CO2 pesa 44,01, o 44,01g/mole e di conseguenza la sua percentuale in peso sarà più elevata di quella in volume, nella medesima proporzione: ossia 390 x 44,01/28,97=590 ppm in peso.
Ne segue comunque che il peso della CO2 è in totale 5,1 x 1015 x 590/1.000.000 ton, ossia circa 3.009 Gton. Attualmente (1).
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Al principio della rivoluzione industriale (attorno al 1750) erano invece 278 ppm in volume (dati NOAA) ed in peso 278 x 44,01/28,97 = 422 ppm in peso. Immaginando che l’atmosfera fosse la medesima globalmente, arriviamo a 5,1 x 1015 x 422/1.000.000 ton = 2.153 Gton.
Allora possiamo concluderne che la quantità totale si è accresciuta di circa 856 Gton. Questa è la quantità rimasta in atmosfera, ma quanta CO2 è stata riversata nell’atmosfera dalle nostre attività?
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Dai dati statistici della CDIAC che ha pazientemente sommato tutti i consumi storici di combustibili fossili e le quantità di carbonato distrutte nella produzione di cemento, si apprende che abbiamo emesso dal 1751 ben 337 Gton di carbonio per il consumo di combustibili fossili e la produzione di cemento; per capire quanta CO2 abbiamo così prodotto, occorre moltiplicare questo numero per il rapporto fra il peso molecolare della CO2 e quello del carbonio, ossia 44,01/12,011; quindi 337 x 44,01/12,011 = 1.235 Gton di CO2.
A questo occorre aggiungere il carbonio emesso per l’uso della terra (deforestazione, agricoltura, etc.). Qui la stima è più complessa e soggetta a maggiori errori; comunque CDIAC stima almeno 150 Gton di carbonio dal 1850; quindi altre 150 x 44,01/12,011 = 550 Gton, una stima per difetto.
Siamo ad almeno 1.785 Gton di CO2 emesse dalle attività umane negli ultimi 250 anni.
Dato che ne sono rimaste in atmosfera 856, i pozzi abiotici e la biosfera ne hanno riassorbite 929 Gton, principalmente nel mare, che ne costituisce un formidabile deposito, decine di volte più grande dell’atmosfera. Il riassorbimento netto dalla biosintesi o nel suolo forestale o agricolo dobbiamo invece considerarlo negativo data la stima di perdita netta di CDIAC.
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L’aggiunta di CO2 all’acqua del mare ne provoca l’acidificazione in quanto il gas in questione è un acido debole; in acqua forma infatti acido carbonico, H2CO3.
Teniamo presente che, per il medesimo motivo, l’interazione fra CO2 e mare non può essere stimata usando solo la legge di Henry, cioè l’equilibrio fra gas e soluzione, come per esempio per l’ossigeno o l’azoto; in soluzione acquosa la CO2 si trasforma in acido carbonico, ione bicarbonato e ione carbonato, a sua volta in equilibrio con un corpo di fondo di carbonato di calcio e di magnesio. Per capire meglio cosa succede esaminiamo il grafico seguente:
in cui è mostrato l’andamento della concentrazione delle tre principali specie chimiche discendenti dall’anidride carbonica in acqua. Si tenga presente che, per quanto riguarda la banda blù, il grafico è indicativo ed i valori indicati in esso non sono esattamente quelli calcolati. La banda blù esprime l’intervallo di variazione misurato nell’acidità del mare, che è valutata con l’unità definita come pH, ossia il log cambiato di segno della concentrazione dello ione H+. Il grafico è un grafico logaritmico: in ogni direzione uno spostamento verso sinistra o verso l’alto di una tacca segna un aumento di dieci volte e in direzione opposta una diminuzione di 10 volte, della concentrazione di H+ o della specie chimica considerata..
L’estremo destro della banda indica il valore iniziale, al 1750, circa 8,179, mentre l’estremo sinistro indica il valore odierno di 8,069 unità.
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E’ importante capire cosa succede e perché. Aggiungere CO2 fa aumentare la sua concentrazione e fa aumentare anche la concentrazione di ione bicarbonato, mentre diminuisce quella dello ione carbonato; delle tre sostanze lo ione bicarbonato è dominante, mentre il secondo in abbondanza è il carbonato e solo ultima la CO2. La modifica in corso avvicina la concentrazione di CO2 e di carbonato; attualmente lo ione bicarbonato rappresenta circa il 90% del totale, lo ione carbonato un 9% e la CO2 circa 1%. Dato l’uso di una grandezza logaritmica come il pH la concentrazione di H+ è aumentata di circa il 29% sebbene la riduzione del pH sia di sole 0,11 unità: infatti il logaritmo decimale di 1,29 è appunto 0,11.
A quanto C complessivamente corrisponde in tutte e tre le forme questa modifica? Non è un calcolo stechiometrico difficile, ma lo effettuiamo usando un calcolatore su web, che tiene conto anche dell’effetto della salinità complessiva, della temperatura e della pressione. Dato che queste grandezze cambiano di continuo possiamo solo avere delle stime; useremo una pressione totale di 1 atm, una temperatura media dell’acqua di 15°C e la salinità media del mare.
Introducendo i due valori di pH nella prima casella della colonna centrale otteniamo nelle ultime tre caselle della medesima colonna le concentrazioni delle tre specie in mmol/litro (ossia millesimi di mole per litro):
Possiamo innanzitutto valutare la quantità di C presente nel mare sotto forma di ione carbonato o bicarbonato o di anidride carbonica.
Il volume del mare è stimato in 1,35 miliardi di km3, che corrisponderebbe ad un cubo di oltre 1.100 km di lato o ad una sfera con un diametro di 1.370 km, ossia un vero e proprio “pianetino” di acqua, ben più grande del più grande dei pianetini, Cerere, il cui diametro è di soli 930 km; ricordiamo inoltre che 1 km3è 1 miliardo di m3; quindi abbiamo 1,35 x 1018 m3.
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Al principio dell’era industriale avevamo, nelle sue varie forme, un totale equivalente di CO2 di 2,0822 mmol/litro, ossia (moltiplicando per 1.000 numeratore e denominatore) moli/m3. Quindi 2,0822 x 44,01 g = 91,64 g di CO2 per m3 di acqua di mare; in totale 91,64 g/m3 x 1,35 x 1018 m3 = 123,7 x 1018 g = 123,7 x 1012 ton, ossia 123,7 Teraton, 123.700 Gton, una quantità oltre 57 volte maggiore che nell’atmosfera di allora!
La situazione è cambiata così: 2,1261 x 44,01= 93,57 g/m3 ; di conseguenza abbiamo un totale di 93,57 g/m3 x 1,35 x 1018 m3 = 126,3 x 1018 g = 126,3 x 1012 ton = 126.300 Gton, ossia 42 volte più che in atmosfera oggi.
In sostanza ad un aumento di pressione parziale della CO2 del 40% circa in atmosfera sarebbe corrisposto un aumento di gas disciolto come tale del 24% e solo del 4% dello ione bicarbonato, una riduzione dello ione carbonato del 15% e un incremento del totale delle varie forme del 2%.
La quantità di gas disciolta in più in ogni m3 di mare sarebbe tale che in totale avremmo 126.300 - 123.700= 2.600 Gton di CO2 in più.
La quantità di anidride carbonica necessaria a far variare il pH del mare nella sua totalità è oltre il doppio di quella che ci abbiamo rilasciata, stando ai dati CDIAC, come si spiega questo disaccordo?
Certamente dipende in parte dalla difficoltà di stimare valori “medi” accettabili delle varie grandezze. Ma una differenza altrettanto importante la fanno i meccanismi di trasporto dei gas nell’oceano; in sostanza il mare non è una soluzione in equilibrio con l’atmosfera (il trasporto è non solo diffusione, ma anche correnti oceaniche e moti convettivi su scala gigantesca, come il cosiddetto ”nastro trasportatore” o la caduta di detriti che vengono poi degradati ad una certa profondità).
L’anidride carbonica penetra velocemente nella parte superiore dell’oceano, modificandone velocemente il pH, ma poi, più in basso dove vento e onde non ci sono il processo è molto più lento; quindi la variazione di pH stimata in superficie probabilmente non corrisponde a quella presente a maggiore profondità, dove fra l’altro la temperatura e la pressione sono diverse e di conseguenza la solubilità del gas è diversa.
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Secondo le conoscenze attuali la distribuzione attuale della CO2 in oceano varia con la zona e con la profondità, mostrando una specie di massimo verso i 400-800 metri; inoltre essa ha oscillato in sincrono con le glaciazioni, ed è diminuita negli ultimi 30 milioni di anni.
Potremmo, in modo molto grossolano, stimare che grazie a questi complessi meccanismi di trasporto solo un volume di oceano pari a 929/2.600=0,36 , quindi il 36% circa è stato influenzato finora da questo meccanismo di acidificazione, una profondità corrispondente a circa il 36% di quella media del mare che è di circa 4.200 metri, ossia circa 1.500 metri.
Possiamo facilmente comprendere come nella realtà il volume influenzato potrebbe essere superiore se accettassimo che l’effetto diminuisca con la profondità. Possiamo aspettarci anche che con il tempo l’effetto aumenti incrementando anche le conseguenze biologiche del processo.
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Testo di Claudio Della Volpe
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(1) E’ interessante notare che l’incremento percentuale della CO2 ha modificato il peso molecolare medio dell’aria, perché la CO2 pesa più della media degli altri gas. Il peso è cresciuto rispetto a quello riportato nella maggior parte dei libri, ma non è facile misurarlo, perché la variazione è sulla seconda decimale (per la precisione 28,98 rispetto a 28,96). Questo è un altro effetto dell’incremento della CO2atmosferica; le percentuali riportate in questa pagina sono errate rispetto a quelle aggiornate di UIGI o di Wikipedia. Se fate una piccola ricerca, vedrete che è vero per molte altre pagine web e di libri: riportano ancora una concentrazione pre-industriale di CO2, generalmente indicata come 0,03% invece dello 0,0390%, con conseguenti variazioni anche delle altre. Ho usato un valore intermedio nei calcoli che comunque non vengono modificati in modo sostanziale.